Il modello di riferimento della Sgai poggia su alcune aree teorico-cliniche che i suoi fondatori hanno attraversato nel corso di oltre un cinquantennio.
1) La psicoanalisi. La ricerca in questo ambito ha consentito di mettere in evidenza la fondamentale contraddizione freudiana tra una prospettiva storicistico-relazionale e una prospettiva biologistico-oggettivante degli atti mentali. La riflessione su questa contraddizione ha indotto a una scelta teorico-clinica della prima prospettiva, alimentata dai contributi di eminenti psicoanalisti, ma è anche diventata un importante fondamento delle successive riflessioni sul conflitto specificamente antropologico tra conservazione e cambiamento.
2) La psichiatria. Questa disciplina è il modello pragmatico della deriva biologistica della psicoanalisi, con la sua definizione di “malattia” di ogni comportamento deviante rispetto alle convenzioni sociali di “normalità”. Fabrizio Napolitani è stato il fondatore delle prime comunità terapeutiche, attraverso le quali egli attuava la cura dei pazienti psichiatrici non attraverso rimedi terapeutici (fisici, chimici o di persuasioni ideologiche) ma attraverso processi di intensa e partecipe socializzazione.
3) La gruppoanalisi. Il primo psicoanalista che ha assunto il “sociale” come elemento strutturante l’identità individuale è stato Trigant Burrow (primo Presidente dell’American Psychoanalytic Association, da cui venne espulso negli anni ‘30), fondatore della gruppoanalisi sia come modello teorico sia come pratica terapeutica.
La profondità del suo pensiero e la grande rilevanza delle sue esperienze cliniche hanno poi trovato in S. Foulkes il loro divulgatore che ha posto prevalentemente l’accento sui processi dinamici dell’esperienza gruppale. Ma il termine “gruppo,” che ha sostituito quello di “psiche” nella definizione di questa pratica analitica, ha finito col lasciare in ombra gli aspetti strutturali della mente relazionale. Nell’elaborazione compiuta dalla Sgai nell’ambito della sua piena appartenenza al movimento gruppoanalitico, è stato elaborato un modello della mente nel quale questa non è un “in sé e per sé” osservabile come un oggetto nella sua datità, ma è un fenomeno totalmente pertinente ai modi e ai tempi della sua relazione col mondo.
4) La fenomenologia e l’antropoanalisi. Questa corrente di pensiero ha pervaso tutta la ricerca della Sgai, che ha sempre più approfondito e articolato la suggestione di L. Binswanger da lui proposta nel 1946 in “L’indirizzo antropoanalitico in psichiatria” e che merita di essere qui citata come indicazione qualificante lo statuto culturale della nostra società:
Con la dottrina heideggeriana dell’essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein) come trascendenza è stato eliminato il cancro che minava alla base tutte le precedenti psicologie e si è finalmente aperta la strada all’antropologia. Il cancro è rappresentato dalla dottrina della scissione del “mondo” in soggetto e oggetto.
Questo sintetico richiamo sugli sviluppi storici della cultura Sgai e dei suoi approdi a una visione esistenziale (che trascende i limiti positivistici delle cosiddette scienze naturali) indica il terreno culturale comune che qualifica l’appartenenza alla Sgai in qualità di socio, appartenenza che non vuole significare omologazione a un pensiero unico, ma che al contrario si fonda sul libero confronto di idee, fino al punto che da questo possano emergere non solo diverse coltivazioni di questo terreno comune, ma anche la possibilità che questo stesso terreno possa essere cambiato.
Sgai ha contatti con l’European Journal of Psychoanalysis
http://www.journal-psychoanalysis.eu/
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